Amedeo ed Esia: il buon «Sugo» degli imprenditori con la balena

Un'azienda innovativa nell'abbigliamento riciclato

A Torino la dimensione adeguata. «È una città che offre il giusto compromesso tra costi e opportunità di lavoro: qui molti clienti, un po' come avviene con il cibo, puntano sulla qualità».

Amedeo ed Esia Sugo
23Nov '18

Amedeo ed Esia: il buon «Sugo» degli imprenditori con la balena

Questa estate, dopo cento anni, la storica bottega di cordami «Eugenio Grissiotti» di via Ormea 29/b a Torino ha abbassato la saracinesca. Al suo posto c’è «Sugo», un negozio di abbigliamento nato nel 2007 con l’impronta del riciclo. Così, dove una volta erano appesi rotoli di spaghi e corde variopinte, adesso trovano posto centinaia di rocchetti colorati. Pronti per essere trasformati in felpe, magliette e pantaloni con balene paffute che vi nuotano dentro.

È proprio la balena, ideata da Esia Colonna a partire da un ritaglio di stoffa, il simbolo di quest’azienda di abbigliamento a conduzione familiare.

«La prima maglietta l’abbiamo venduta la sera stessa», racconta Amedeo Mattei, compagno di Esia nel lavoro e nella vita. «Il nome Sugo – continua – nasce dai primi lavori di Esia, che a Milano modificava gli abiti usati, cercando di coprire le vecchie macchie». Amedeo era arrivato nella capitale italiana della moda dalla provincia di Benevento per studiare Economia e Marketing.

Quando Amedeo incontra Esia i due si innamorano e decidono di costruire insieme la loro vita, condividendo un sogno comune: aprire un negozio di abiti artigianali.

«All’inizio frequentavamo i mercatini e le fiere – ricorda Amedeo – ma volevamo andare da un’altra parte, una città dove il costo della vita fosse più basso». Comincia così un lungo peregrinare in Spagna, Toscana e Berlino. Nel frattempo nasce Jordi, che oggi ha 8 anni e porta con fierezza la sua t-shirt con la balena a righe.

«A Torino siamo arrivati nel 2013 – racconta Esia – avevamo soltanto duemila euro in tasca, ma sapevamo che per affittare un negozio e una casa avremmo speso meno che a Milano. Acquistavamo tessuti invenduti, rimanenze di magazzino e creavamo i nostri vestiti». Ritagliare, scontornare, applicare stoffe diverse su fondi omogenei, un patchwork originale e subito riconoscibile. In breve tempo «Sugo», anche grazie alla comunicazione sui social, diviene un marchio conosciuto.

«I primi tempi eravamo su MySpace, poi Facebook e ora anche Instagram. Internet ci ha permesso di fidelizzare i clienti e tutti i giorni vendiamo online, spedendo in tutta Italia». A Torino la famiglia ha trovato la dimensione che cercava. «È una città che offre il giusto compromesso tra costi e opportunità di lavoro – continua Amedeo – qui molti clienti, un po’ come avviene con il cibo, puntano sulla qualità».

Avviato il primo «Sugo», qualche mese fa ha aperto un secondo negozio di abbigliamento Sugo a Salerno, gestito dalla sorella di Amedeo, che di mestiere fa la designer.

«I nostri vestiti hanno una linea morbida e casual – spiega Esia – non seguiamo le mode del momento. Ci piacciono i colori, i materiali di buona qualità che resistono nel tempo. E poi c’è la nostra grande passione e una voglia matta di indipendenza». Fondamentale è stata anche la resilienza, la capacità di tenere duro di fronte alle difficoltà che, come sa bene Amedeo, sono state e continuano a essere tante.

«La burocrazia, soprattutto quando si avvia un’attività, è lunga e complessa. Fiscalmente è difficile trovare la giusta dimensione e se si supera una certa soglia di guadagno diventa impegnativo sostenere i costi. Paradossalmente, è come se il sistema a un certo punto ti costringesse a fermarti. Per chi vuole percorrere la nostra strada ho solo un consiglio, aprire un’attività da soli è quasi impossibile, meglio essere almeno in due».

Marco Panzarella (Palermo, 1981), è arrivato a Torino per terminare gli studi universitari in Scienze della Comunicazione.  Giornalista professionista, scrive da sempre. All’inizio di sport, sua grande passione, poi un po’ di televisione e quindi la cronaca: bianca, nera e giudiziaria per l’agenzia stampa Agi. Si definisce un “freelance felice”: fra le sue collaborazioni anche Il Sole 24 Ore, Radio 24, Cose di Casa e Torino Oggi. Fa parte del network di Spazi Inclusi.

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