«Una città non può restare arroccata su sé stessa»

Negli anni Sessanta a Torino nasceva L'International School of Turin. Con Enrico Salza, co-founder, attingiamo alla lungimiranza di quella visione per proiettare Torino nel futuro.

Enrico Salza
03Lug '22

«Una città non può restare arroccata su sé stessa»

«Una città non può restare arroccata su sé stessa». 1963, Torino. Sull’onda del boom economico, di una Fiat che macinava numeri da capogiro, di un territorio sempre più destinazione di arrivo di imprenditori e manager da ogni parte del mondo, prende forma un’idea. Creare una community educativa – certo allora non si chiamava così – diversa, di chiara impronta anglosassone, promossa da un gruppo di manager di compagnie americane. Nei primi anni ha sede a Caselle, si chiama  Scuola Internazionale Americana di Torino. Poi si trasforma in IST, acronimo di International School of Turin (oggi il Campus ha sede a Chieri, 400 gli studenti, mentre erano una trentina agli esordi).

My School is My Family

«Una città non può restare arroccata su sé stessa». La Storia dell’IST oggi è tutta raccolta in un libro fresco di stampa,  My School is My Family (autore Francesco Antonioli, Effatà Editrice), presentato all’ultimo Salone del Libro. Per Futurabile è l’occasione per incontrare chi, all’inizio degli anni Sessanta, credette in quel progetto e contribuì a “posare” la prima pietra: Enrico Salza, imprenditore, ex presidente delMy School is My Family gruppo bancario Intesa Sanpaolo – dopo esserlo stato del Gruppo Sanpaolo IMI – e oggi presidente Tinexta, società high-tech, e presidente onorario del Board e co-fondatore di IST.

Con l’ingegner Salza si inizia a parlare del passato, dell’esperienza dell’IST ma inevitabilmente si arriva al 2022: al sistema Torino, all’idea di formazione e cultura, al valore della risorsa umana, alle responsabilità di imprese e istituzioni. E non poteva essere altrimenti con un imprenditore di grande carisma, “prestato alla banca”, come lui amava definirsi, classe 1937, che di Torino ha detto: «È la mia città, per la quale mi sono sempre battuto».

«Quando scrissi a Carlo De Benedetti»

Presidente, siamo all’inizio dei “favolosi” anni Sessanta, quale sogno visionario portò alla nascita di International School of Turin?

«La spinta, altamente innovativa per l’epoca, arrivò da un dirigente della Fiat, Renato Sassi, che aveva vissuto per un certo periodo negli USA ed era alla ricerca di una scuola americana per i propri figli. L’ing. Sassi mi convinse della bontà di utilizzare uno strumento di accrescimento culturale per i giovani come l’IST e, d’accordo con mia moglie Novella, iscrissi mia figlia Elisabetta. Erano gli anni in cui c’era fermento, voglia di crescere… In particolare, si avvertiva una forte vibrazione tra i più giovani. Ricordo che scrissi poi una nota nel 1974 al presidente dell’Unione Industriale di Torino di allora, Carlo De Benedetti, appena nominato, in cui caldeggiavo un concreto supporto del mondo imprenditoriale alla Scuola. Da quel momento ho cercato sempre di mantenere vivo l’interesse e il sostegno per la “Scuola Americana”, dando vita ad una serie di iniziative. A cominciare dalla costituzione societaria senza fini di lucro nel 1974 denominata “American Cultural Association of Turin” (ACAT) fino all’apertura dell’attuale sede del Campus di Chieri nel 2010».

«Una città non può restare arroccata su sé stessa»

Tutto questo come ha contribuito nel tempo allo sviluppo di Torino?

«Una città in crescita non può restare arroccata su sé stessa, deve guardare oltre confine. E questa è una delle caratteristiche fondamentali dell’IST. È fondamentale essere attori del cambiamento. In quest’ottica l’IST si è rivelato laboratorio d’avanguardia – ripensando anche gli spazi e gli ambienti di apprendimento – e sta confermando sempre più questo tratto. Anche con progetti legati alla sostenibilità e all’ambiente. Non solo una scuola. Ma una piccola società con un modello pedagogico efficace, con regole precise in grado di trasmettere quei valori e quella passione necessari per costruire un solido futuro ai giovani»

«Riportiamo al centro persone e territorio»

Nel nostro presente così incerto, c’è un nuovo sogno visionario di cui avrebbe bisogno la formazione nel nostro Paese?

«Credo che per tutelare il know-how sul quale poggia la nostra competitività nei mercati globali, e per garantire la resilienza complessiva del sistema Paese, sia necessario fare un salto culturale. L’obiettivo primario è di porre al centro le persone e il territorio, sull’esempio del grande Adriano Olivetti. È necessario valorizzare i valori e i principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. E la formazione è sicuramente uno strumento fondamentale per accompagnare le persone al cambiamento».

Su cosa dovrebbe puntare il sistema Torino per riacquistare centralità?

«Negli anni la nostra città ha individuato direttrici di sviluppo che all’epoca sembravano visionarie. E invece si sono rivelate vincenti. Sono sicuro che anche oggi si potrebbero trovare idee per arricchire l’offerta complessiva. Mi preme citare qualche esempio: l’economia del risparmio (qui abbiamo un museo straordinario), l’economia dell’Intelligenza artificiale, l’economia dei grandi eventi, l’economia degli incubatori e delle startup, l’economia di genere. Sono solo spunti, ma non avremmo difficoltà a caratterizzarci, costruendo un’offerta scientifica primaria, frutto del lavoro di un territorio e del costante impegno per fare rete tra Istituzioni, Università e imprese».

«Un auspicio? Guardare tutti nella stessa direzione»

Eppure lo scorso marzo, Romano Prodi ha denunciato il mancato rilancio economico della città. Ha dichiarato che gli stranieri qui non investono perché mancano politica industriale e leadership locale ai tavoli che contano…

«Questo inciso va girato al professor Prodi. Quello che io auspico è che i vari soggetti attivi della città, economici e sociali, guardino nella stessa direzione, verso uno sviluppo comune».

Il Gruppo Giovani Imprenditori ha pubblicato un programma per decifrare il futuro. È Robusta Taurinorum, contiene 23 parole-chiave. Tra queste anche Futurabile… Lei quali sceglie e perchè per guardare oltre il presente?

«Senz’altro Torino e Cultura. Torino… sono profondamente legato alla mia città perché in tutti questi anni ne ho visto e vissuto in prima persona la sua trasformazione. Fin dai tempi in cui come imprenditore mi occupavo dell’azienda di famiglia, la Lavaggi, mi sono sentito parte attiva del territorio. Ho sentito la responsabilità di occuparmene, cercando di essere propositivo. La seconda parola è Cultura. Ho sempre considerato la cultura, in senso lato, uno strumento di sviluppo. Non mi riferisco tanto all’istruzione scolastica, quanto alla capacità di sviluppare visioni di crescita culturale, appunto. E che rendano possibile a tutti avvicinarsi a un patrimonio di idee e di bellezza, e della necessità che le Università del territorio abbiano un ruolo di avanguardia e visione, come scrivevo già nel 1992 in Idee per Torino».

 

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