Salute e benessere: una startup molto #futurabile

Beatrice Buronzo racconta la nascita di Fooderapy, pasti sani a domicilio. Parla di difficoltà, delusioni e tanto entusiasmo. Per un progetto imprenditoriale che sogna di esportare.

Beatrice Buronzo
02Apr '21

Salute e benessere: una startup molto #futurabile

Salute e benessere: una startup al loro servizio. Questa storia imprenditoriale – young e tutta al femminile – prende avvio negli Stati Uniti. Per l’esattezza a Los Angeles dove Beatrice Buronzo, torinese, 27 anni, si trasferisce diciottenne per studiare alla Yale e alla Ucla University. Percorso di studio: business dell’intrattenimento. È lì che iniziano ad autoalimentarsi desideri di indipendenza imprenditoriale.

Beatrice tenta l’apertura di una startup dedicata al concierge delivery. Non si iscrive al registro delle imprese. Perché sono anche gli anni della presidenza Trump: non è facile per uno straniero passare da uno Student Visa a un Working Visa. Termina gli studi e nel 2017 rientra a Torino. Porta con sé una laurea, una esperienza importante ma anche 12 chili in più. E non è una informazione secondaria nella storia professionale di Beatrice Buronzo e della sua impresa, Fooderapy, aperta a Torino nel 2018, di cui è Co-founder e Ceo. Anzi è il seme dell’idea…

Salute e benessere: l’esperienza personale accende l’idea di impresa 

Perché i chili accumulati in quattro anni di vita americana sono importanti per capire la nascita di Fooderapy?

Negli States avevo poco tempo per fare la spesa e cucinare. Quasi sempre mangiavo pasti preparati, veloci. I servizi di delivery erano tanti, ma quelli sani davvero pochi. Come chiunque abbia vissuto Oltreoceano, avevo preso tra i 10 e i 12 chili. Ma soprattutto ero scarica di energie, facevo fatica a concentrarmi, le difese immunitarie erano basse. Sono rientrata in Italia, ho ripreso a mangiare in modo salutare, sono tornata in forma. Stavo meglio. Avevo 23 anni.

È dunque la sua esperienza personale a convincerla a pensare la nuova start up…

Esatto. L’idea era già nata in America negli ultimi mesi del mio soggiorno. Ma poi ho deciso di giocare in casa e di mettermi alla prova in Italia. Anche perché la qualità delle nostre materie prime non ha rivali. Qui è più facile parlare di cura alimentare. Mentre negli Stati Uniti reperire materia prima senza antibiotici o pesticidi è davvero difficile.

Delivery Food: piatti e menù su misura

Siamo a fine del 2019 e nasce Fooderapy…

Fooderapy è una start up innovativa che ha nel suo core business portare pasti sani  a domicilio. È un servizio che coniuga dieta e terapia. Il cliente compila un questionario. In base alle risposte, viene profilato e gli  consigliamo il piano alimentare più adatto. Abbiamo un comitato scientifico, composto da medici specialisti come gastroenterologi, allergologi, dietologi che collaborano alla profilazione e creano il piano alimentare ad hoc. Sappiamo quanto sia difficile passare dalla teoria, la dieta su carta, alla pratica. Magari non sappiamo cucinare, non abbiamo tempo… La dieta dura poco ma soprattutto viene vista solo come privazione perché si mangiano verdure, crude o al vapore, e carne bianca. Invece noi abbiamo creato un servizio facile, che poggia su basi scientifiche e supportato da specialisti. Aiuta le persone a rimanere in forma e svolge anche un’azione preventiva sulla salute. Allo stesso tempo i pasti sono gustosi e sfiziosi.

Come si passa dall’idea alla creazione di una startup a 25 anni?

Conoscevo alcuni gastroenterologi che volevano produrre corsi di formazione nutrizionale senza affiancare la parte commerciale. Il progetto poi non è partito. Io ho trovato una socia, abbiamo cambiato nome alla società e abbiamo focalizzato l’operatività sul segmento commerciale del delivery.

Qual è stato il primo passo?

La ricerca del laboratorio dove produrre i pasti. È stata una delle cose più complicate. All’inizio non volevamo ‘caricarci’ troppo e avevamo deciso di utilizzare un laboratorio conto terzi. Abbiamo visitato strutture in tutto il Nord Italia ma la qualità non ci soddisfaceva, non potevamo controllare le materie prime. Lo step successivo è stato capire che la cosa migliore era produrcelo internamente e abbiamo trovato un laboratorio già semi allestito nel Canavese. Ci siamo appoggiati a una struttura veneta che aiuta a sviluppare prodotti alimentari e insieme a chef e technology manager abbiamo creato una ventina di piatti. Erano passati otto mesi.

Pronti, si parte! E arriva il Covid-19

Siamo a gennaio 2020. Iniziate il contratto di affitto con il laboratorio e…

E un mese dopo scoppia la pandemia. Abbiamo azzerato tutti i piani. Nelle prime settimane abbiamo continuato con il delivery: portavamo pasti a palestre e aziende. Poi è arrivato il lockdown. Abbiamo creato nuove linee di produzione e realizzato pasti per supermercati e distributori automatici. È stato un cambio di rotta repentino ma ci ha permesso di sopravvivere. Oggi, a un anno dall’avvio, facciamo delivery anche a domicilio e questa è diventata la fetta principale del nostro business come doveva essere fin dall’inizio.

Quali altri aspetti sono stati difficili nel suo approccio al fare impresa?

Sicuramente la figura del consulente. All’inizio, quando conosci poco quello che andrai a fare, soprattutto in un settore com’è la tecnologia alimentare, ci si affida a un consulente: sembra la persona più fidata. Beh, non è sempre così. Noi ne abbiamo cambiati addirittura sei! È stata la fase più complicata. Appena apri una attività vieni circondato da queste persone che sembrano essere quelle di cui hai assoluto bisogno. Poi invece, studiando e approfondendo il settore, capisci di chi puoi fidarti e di chi no.

«Siamo una start up al femminile»

Da chi è formato il vostro team?

Siamo una start up molto al femminile. Per scelta ma anche perché nel segmento della nutrizione è più numerose le professioniste donna. Mi affiancano le due co-founder: Costanza Pira, medico-chirurgo, specializzato in Nutrizione Clinica, e Etta Finocchiaro, medico-chirurgo, spfooderapy

ecialista in Scienza dell’Alimentazione e Nutrizione Clinica. Ma il team si sta allargando ad altri medici in qualità di investitori e advisory board. E poi tante le collaborazioni di specialisti.

Essere donna e giovane ha fatto la differenza? Per esempio nell’accesso ai finanziamenti o nel rapporto con gli altri attori del mercato?

Direi di no. Pensavo ci fossero molti più fondi dedicati alle donne. Ci sono agevolazioni ma non così consistenti. Stiamo facendo adesso l’applicazione per Smart&Start ed è la prima volta che vedo una reale differenza tra una start up fondata da donne e una no. Per la prima volta, in un bando, conta veramente essere donna. Per quanto riguarda le relazioni…. ci sono persone iper professionali: essere donna o uomo per loro non fa la minima differenza. Ma purtroppo di misogeni in giro ce ne sono ancora.

«Lavoro 16 ore al giorno. Sono stressata ma contenta»

Perché è così scarso l’interesse ad aprire una impresa tra le sue coetanee?

Quando partecipavo a eventi come Start Up Italia o della Bocconi, a Milano, eravamo pochissime. Forse appena il 2% del pubblico, anche se ho tante amiche che fanno un lavoro che amano e per il quale hanno studiato tanto. Secondo me, per fare impresa, non conta tanto essere uomo o donna. La vera discriminante è che per la tua attività devi dare il 200mila% ogni giorno. Quando ero più giovane pensavo che sarebbe stato comodo avere un’attività propria dove decidere e gestire in autonomia. È vero solo in parte. La realtà è che lavori 16 ore a giorno, non 8.

Specialmente all’inizio. Quando sei una start up e non puoi investire in personale, devi imparare a fare un po’ tutto. Le giornate non esistono più. La vita privata neppure.

Fooderapy è nata sotto la stella di una pandemia globale… Ha mai pensato di mollare tutto?

No, non ho mai detto mollo. Credo fortemente nel nostro progetto. Ci sono giornate dove il livello di stress è alle stelle ma non mollerei mai. Perché lo considero il mio ‘piccolo figlio’ e una madre non abbandonerebbe mai il proprio figlio. Nelle scorse settimane un Fondo ci ha proposto di rilevare parte dell’attività. Non è il momento: non sono pronta a dare metà del progetto a qualcun altro. Magari tra qualche anno, per permettere alla start up di crescere. Oggi ho in mano un progetto che prende forme sempre nuove e che vorrei esportare all’estero, siamo entrati anche in Torino Social Impact. Ogni giorno lavoro sedici, diciotto ore, ma mi sveglio contenta e carica di entusiasmo. Sono una imprenditrice. Giovane, stressata… ma contenta.

Un messaggio alla coetanea che ci legge e che vorrebbe fare impresa ma non “osa”?

Se veramente crede in un progetto non deve mai fermarsi. Ci sono tante possibilità per aprire una start up. È una questione di determinazione personale: raggiungere l’obiettivo.

 

 

 

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