Che ci sia una cultura anti industriale nel nostro Paese è noto. Ma adesso si stanno toccando livelli avvilenti. Specie se questo accade nel dibattito sullo sviluppo di Torino. Nell’accanito scontro sulla Torino-Lione, in particolare, i contrari al Tav (opinione più che legittima in democrazia) sono ormai soliti dire che i favorevoli al treno ad alta velocità sono “portatori di interessi distorti”, tendenzialmente mafiosi.
Borghesia ignorante ed egoista, in buona sostanza, madamine “fate ignoranti”, schizzinose e snob che se la intendono con industriali definiti “prenditori”.
In quanto, ovviamente, predatori a ufo di soldi della comunità.
Triste scacchiere, se il futuro ce lo giochiamo in questo modo.
Marco Revelli, figlio di Nuto, riparte dagli anni Venti, menziona Carlo Levi e Norberto Bobbio: insiste nello scrivere che ci sono due città, quella della “piana” e quella delle “vette”, la Torino di Gozzano e di Gobetti, i combattenti e i parassiti facili al mercimonio e senza spina dorsale. Revelli è intellettuale di spessore, sociologo che stimo e apprezzo, ma penso che sbagli.
C’è stato sicuramente un “sistema Torino” autoreferenziale, avido di potere e di denaro, molle nel scegliere chi merita e duro nell’escludere i giovani, a meno che non siano della stessa cordata: una stagione che va chiusa per il bene del territorio e di tutto il Nord-Ovest, in attesa che si affacci una classe politica rinnovata, più libera e più competente.
Tuttavia non si possono disprezzare gli avversari (siamo ancora pur sempre in democrazia) facendo di tutta un’erba un fascio. L’indignazione ha piena cittadinanza, il livore che delegittima provoca guasti e guai peggiori. Proprio nel ragionare sui “portatori di interessi” (gli stakeholders come si chiamano oggi) c’è una possibile chiave di lettura. Il termine indica le persone che portano interessi all’interno di un’iniziativa economica o di un’impresa (clienti, fornitori, azionisti, finanziatori, ma anche coloro che influenzano e subiscono l’influenza di questa realtà indirettamente). Ogni soggetto – in questa prospettiva – è il fine degli atti di altri individui, mai il mezzo.
In una società circolare (come l’economia che si va a costruire) è auspicabile perciò che si innesti un circuito virtuoso tra imprese, società civile e Pubblica amministrazione.
Per il bene del territorio. È nel rispetto di questo “patto sociale” che prima ancora del “sì” o del “no” serve una educazione civica (e istituzionale) oggi purtroppo disprezzata.
Con deliri di analfabetismo e violenza verbale. Tutti desideriamo un futuro e un modello di sviluppo sensati. Ma bisogna essere portatori di valori e di idee e saperle confrontare pensando a costi e benefici. Ragionando. Chi insiste legittimamente per il rispetto dell’ambiente, giusto per punzecchiare, perché non s’indigna per il raddoppio imminente del traforo autostradale del Frejus? O perché non sta dicendo nulla sulle tasse che rischiano di bloccare l’investimento green di Fca su Mirafiori?
Ma non è questo il punto.
Che invece è prioritariamente un altro: sentiamoci “portatori”, ma di futuro e di senso civico.