La «mia» Ivrea di Olivetti in cerca di una identità

Perché è importante studiare la «leadership adattiva»

Sono un ventiseienne canavesano, rientrato in Italia da poco dopo sei anni di studio e lavoro tra l’Irlanda, l’università di Harvard e l’Onu di New York. E...

Stefano Zordan
21Nov '18

La «mia» Ivrea di Olivetti in cerca di una identità

Mi chiamo Stefano Zordan e sono un ventiseienne di Ivrea. Sono stato un “cervello in fuga”: da un anno sono rientrato in Italia, dopo sei anni di studio e lavoro. Irlanda, università di Harvard e Onu di New York sono state le tappe della mia esperienza fuori dall’Italia.

La mia è una storia di esplorazione e internazionalizzazione e, al contempo, di forte attaccamento alla mia terra.

Una terra di confine, di provincia, di agricoltura, lembo più settentrionale della provincia di Torino incastrato tra l’hinterland metropolitano e la Valle d’Aosta. Ma anche una terra che è stata culla di importanti innovazioni, di industria all’avanguardia, fecondata dal sogno della Olivetti di Camillo e Adriano.

Crescere a Ivrea ha profondamente informato la mia visione del mondo. Ha innescato in me un vivo interesse per come la cultura aziendale può trasformare gli spazi e i territori; per come l’economia sia una questione di valori messi in pratica.

Oggi quel Canavese felix che avevo potuto assaporare fin da piccolo è profondamente mutato. Messo a dura prova dal declino della Olivetti, è oggi un territorio in cerca di una nuova identità.

Ivrea, pur restando un territorio abbastanza benestante, non è più in grado di trattenere i suoi giovani, per non parlare di attrarne da fuori.

Camminando per Ivrea, si respira una certa rassegnazione nostalgica tipica delle “ex-capitali di regno” mista a fermenti di operosa voglia di futuro. Piccole start-up agricole, turistiche, così come digital, portano una boccata d’ossigeno in un contesto industriale che, sebbene vanti alcune eccellenze, fatica a competere e a fare sistema.

È proprio questa incapacità a vedersi come un sistema che costituisce – a mio modo di vedere – il limite forse più grave che affligge il Canavese, così come tante altre zone d’Italia.

Questa difficoltà va di pari passo con un esercizio della leadership territoriale spesso poco coordinato e poco incisivo.

Tornando in Italia, ho, dunque, tra le altre cose, fondato Sistema Italia, un’associazione con sede a Milano che mira a diffondere la leadership adattiva nel nostro Paese. Questo modello di leadership – sviluppato ad Harvard dai professori Heifetz e Linsky, di cui sono stato allievo e assistente – parte dal presupposto che la leadership non è una qualità innata, bensì una pratica che si può apprendere e, quindi, insegnare.

L’aggettivo “adattiva” è preso in prestito dalla biologia evolutiva e denota la necessità per gli organismi – dalla famiglia alla Nazione, passando per l’azienda – di sviluppare un approccio sistemico alle sfide complesse.

L’esercizio della leadership nel contesto di sfide adattive è dunque un continuo bilanciamento di diagnosi e di intervento, che richiede il coinvolgimento delle parti interessate dal problema che si sta cercando di risolvere: non può infatti limitarsi all’applicazione top-down di conoscenze tecniche o di decisioni prese da chi occupa posizioni di autorità.

Da questa premessa deriva un’altra distinzione fondamentale offerta da questo modello, ossia quella tra leadership e autorità, due concetti spesso confusi: la leadership può essere esercitata anche senza possedere autorità, anzi spesso beneficia dalla mancanza di un riconoscimento formale.

La nostra attività è iniziata da Ivrea, città delle innovazioni, da cui può scaturire un nuovo modo di intendere la leadership, con ricadute sui territori in termini di partecipazione alla loro rinascita e di creazione di valore. Qui, lo scorso luglio, 35 giovani da tutta Italia – manager, imprenditori e studenti – hanno incontrato Linsky e la collega di Harvard Maxime Fern per una tre giorni di formazione sulla leadership che ha visto intervenire personaggi del calibro di Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, Andrea Illy, Fabio Vaccarono di Google Italia, e molti altri.

Questo evento è stato un importante momento di riflessione critica in cui il territorio ha messo in mostra il meglio di sé e si è confrontato con idee provenienti da fuori. Esercizi di questo tipo pongono le basi per quella attività di diagnosi che è così importante per esercitare efficacemente la leadership.

I giovani hanno svolto un ruolo fondamentale in questa fase di sperimentazione, esprimendo speranze e paure, generando idee e proposte, facendo diagnosi e progettando interventi sul sistema. È stato un evento, certo, ma che non vuole rimanere estemporaneo, bensì innescare altre iniziative simili, coinvolgendo altre componenti del sistema regionale e nazionale. Da quel remoto angolo di Piemonte che è il Canavese può davvero partire un esperimento di leadership adattiva con i giovani come protagonisti del cambiamento.

Stefano Zordan (Ivrea, 1992), si è laureato ad Harvard ed è membro dell’Adaptive Leadership Network, che riunisce a livello internazionale i professionisti del settore. È presidente dell’Associazione Sistema Italia e curatore del volume “La Pratica della Leadership Adattiva: strumenti e tattiche per trasformare le organizzazioni e le comunità” (Franco Angeli, 2018).

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